giovedì 20 marzo 2014

Sixto Rodriguez, la favola di Sugar Man


Tornare a scrivere di musica dopo un bel po’ di tempo è stato piacevole. Sixto Rodriguez è stata un’ottima occasione. Qui c’è il pezzo uscito su pagina99 we, il settimanale di pagina99. Vi capitasse di sentire i dischi, fate sapere (comprateli, però, perché a Sixto hanno già fregato parecchio…)
Il rock’n’roll ha bisogno di epica, l’epica ha bisogno di rock’n’roll e per noi, che abbiamo bisogno di tutti e due, quella di Sixto Rodriguez è la storia perfetta. Così perfetta che contiene di tutto: il blue collar orgoglioso, il mercato cattivo e ladro, il folk rockettaro a sfondo sociale, Detroit, il Sud Africa dell’apartheid, una seconda vita a risarcimento della prima. Ed è così, con questo mazzo di carte mal mescolate, che tocca andare con ordine, in attesa di andare al concerto (il 21 a Bologna, il 22 a Milano, uniche date italiano, sold out da mesi, quotazioni spaventose dai bagarini – pardon agenzie – che hanno fatto la spesa per tempo).
Sixto Rodriguez nasce nel 1942 a Detroit, figlio di un immigrato messicano e di una nativa americana. Quando ha venticinque anni pubblica un singolo che nessuno compra. Quando ne ha ventisette pubblica un album, Cold facts (1970), disco bellissimo e morbido, ricco di sfumature, intimo, politico e nervoso. Nessuno compra nemmeno quello. Ma Sixto non molla e l’anno dopo se ne esce con un altro album, Coming from Reality (1971), bello pure quello, pure a sentirlo oggi, che è tutto dire. Poi basta. Niente vendite, niente soldi, niente contratto. E così Sixto Rodriguez, musicista, torna al lavoro, fa il muratore, si laurea in filosofia, si occupa della sua comunità in una città in lento, inesorabile disarmo, si candida persino a sindaco di Detroit (nel 1989), quelle candidature di tigna e di ideale che non vincono mai. Ristruttura case. Fine.
E poi.
E poi, è il 2012, un bel documentario vince premi su premi. Lo ha girato uno svedese, Malik Bendjelloul e alla fine si aggiudica pure l’Oscar (2013). Si intitola Searching for Sugar man e racconta la storia di Sixto Rodriguez. No, non quella che avete letto fin qui. L’altra.
Perché mentre Sixto faceva il muratore a Detroit, musicista sconfitto, i suoi dischi vendevano in Sudafrica, dov’erano arrivati nella valigia di qualche turista. Diventavano laggiù una specie di colonna sonora della borghesia bianca antiapartheid, facevano da éducation sentimentale a un ribellismo voglioso di musica e di canzoni, di poesie e di suoni, tutte cose che l’embargo bloccava da fuori la radio censurava da dentro. Negato. Vietato.
E così il documentario racconta una ricerca: due fans sudafricani che cercano questo Rodriguez, che fine ha fatto, dov’è finito dopo quei due dischi eccelsi, che lì in Sudafrica canticchiavano tutti. E di leggenda in leggenda (è morto, sì, si è ucciso sul palco, sì), mettono un annuncio in rete. Sono gli albori di Internet, e sono loro i primi a stupirsi quando la figlia di Sixto telefona in Sudafrica. Sì, papà è qui, è vivo, certo, come diavolo lo conoscete? Papà Sixto non lo conosce nessuno, e quei due dischi sono archeologia.
Della grande rapina a Sixto Rodriguez (mezzo milione di dischi venduti in Sudafrica, per dire, senza che lui abbia visto un centesimo) non si saprà mai nulla. I soldi, la fama da star, ciò che gli è stato rubato non tornerà.
Ma intanto torna lui. Con qualche concerto in Sudafrica, un mini tour in Australia. E poi – dal 2013, dall’Oscar che premia la storia di un muratore americano di origine messicana, famoso in Sudafrica, raccontata da uno svedese – con una popolarità mondiale. Perché piace la favola di Sixto, e la favola fa sentire la sua musica, e la sua musica piace anche più della favola. Quello che si dice una rivincita.
I due dischi (già semiclandestinamente ripubblicati 2009 dalla Light in the Attic Records di Seattle) ora vendono bene, a più di trent’anni dalla pubblicazione. Sugar man (è il titolo della canzone che apre il suo primo disco) ha finalmente indietro la sua storia e i suoi meriti. E si compie la magia folle e l’epica incredibile che vogliamo, di cui abbiamo bisogno come il pane: che un disco pubblicato nel 1970 sia uno dei migliori sentiti nell’ultimo anno.
Capolavoro assoluto, ritmato da una chitarra perfetta, piccole dissonanze, echi di Dylan e sapori del Neil Young di quegli anni, accenni di Crosby, Still, Nash e Young, piccole madeleine di Cat Stevens. Un campionario del meglio che si poteva sentire nel 1970, ma con una personalità tutta sua, una voce gentile, una mestizia allegra, una capacità di scrittura sbalorditiva. Sugar man è il piccolo Mr.Tambourine di Sixto Rodriguez, che fa il paio, tra le perle del disco, con Crucify your mind. Ballate meste e umili, che contagiano per sensibilità e purezza. Una complessità semplicissima, una linearità sghemba e prodigiosa. E giri di basso che non ti aspetti, rotondi e complici, a sostenere il disegno che si fa ad ogni ascolto più denso, si direbbe (scusate) più colto, come nella ritmica elettrica di I wonder, un vero gioiello. Poi, nel secondo disco (Coming from Reality) qualche talkin’ blues, qualche stimolo elettrico in più, qualche gioco più ardito. Due dischi – nella categoria folk urbano americano – che basterebbero da soli a ridisegnare e ridefinire quel contesto. Contesto ricchissimo, peraltro, affollato di meravigliosi songwriters. Sixto si chiamava Rodriguez, questo forse non piacque. Sixto non andò mai al Village, non praticò rivoluzioni beat, e anche questo è male, ma non son cose da muratori. Sixto somigliava ai personaggi delle sue canzoni, gente “che perde il lavoro due settimane prima di Natale”, che sapeva che la povertà di molti comincia dove fiorisce la ricchezza di pochi (Rich Folks Hoax), che vedeva i trucchi del potere (Establishment Blues).
Era perfetto, insomma, per la sua epoca e per il suo mondo, che però non lo volle. Il suo seme fiorì in altri mondi, e questo gli rende giustizia, il muratore di Detroit che ha ripreso a suonare in giro per il mondo, vecchio ma non stanco. E soprattutto non triste. Perché Sixto Rodriguez lo sa – e lo dice con quello che canta – che blue collar una volta, blue collar per sempre. E con quello spirito ora se ne va in giro, più che settantenne, mollato il cantiere e ripresa la chitarra. Una storia di epica e rock’n’roll, insomma. Di quelle che si sentono una volta nella vita. E fa piacere sentirle, e si canticchiano bene.

Tratto da: http://www.alessandrorobecchi.it/index.php/201403/sixto-rodriguez-la-favola-su-sugar-man/

martedì 24 settembre 2013

Il «pulmino» Volkswagen va in pensione Termina la produzione in Brasile

Dopo più di 60 anni di carriera, il minibus amato dai figli
dei fiori si arrende alle nuove leggi sulla sicurezza

MILANO- Se potesse raccontare tutto quello che ha visto in più di 60 anni di carriera, chissà che razza di romanzo «beat» ne uscirebbe. Il «pulmino» Volkswagen, conosciuto in tutto il mondo con i nomignoli di «Kombi» e «Bulli», sta per andare in pensione.
Il «pullmino» VolkswagenIl «pullmino» Volkswagen    Il «pullmino» Volkswagen    Il «pullmino» Volkswagen    Il «pullmino» Volkswagen    Il «pullmino» Volkswagen
QUELLE CAROVANE VERSO L'ASIA-Secondo quanto riporta la rivista americana Car &Driver la produzione terminerà a fine 2013 negli stabilimenti brasiliani di San Bernardo del Campo. Se in Europa il minibus più amato dai figli dei fiori è ormai un ricordo lontano (la produzione è finita nel 1979), nel paese sud americano è ancora in vendita. Ma gli anni passano, l'economia verde-oro galoppa e gli automobilisti diventano sempre più esigenti: nonostante le numerose migliorie tecniche introdotte nel tempo, per il «Bulli» si rivela difficile fare i conti con le nuove normative sulla sicurezza e con quelle anti-inquinamento. Roba che non esisteva nemmeno quando carovane di ragazzi dai capelli lunghi partivano dal Vecchio Continente alla volta dell'Asia in viaggi-avventura dalle date di ritorno incerte tanto quanto gli itinerari. Ancora oggi fra Bangkok e Kathmandu capita di rivederli quei pulmini colorati con targhe inglesi, tedesche o anche italiane, trasformati in bar e fast food. Un mezzo trasversale, il Volkswagen T2 apprezzato dalla generazione «beatnik» come dai più tranquilli campeggiatori della Baviera. Non a caso a a Wolfsburg hanno pensato più volte di realizzarne una versione moderna: l'anno scorso al Salone di Ginevra è stato presentato un concept che riprendeva lo stile e l'essenza del mezzo originale. Per ora il progetto è rimasto sulla carta, ma chissà che un domani il «Bulli» non torni di nuovo, come è stato per Maggiolino, Mini e Fiat 500.

venerdì 9 agosto 2013

Il Generatore di Qualifiche Stronze


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lunedì 15 luglio 2013

Interview with Ferruccio Lamborghini

Interview with Ferruccio Lamborghini 

Thoroughbred & Classic Cars, Jan. 1991.

So we want to meet Ferruccio Lamborghini? No problem at all. Unlike the late 
Enzo Ferrari, the creator of the Miura, the Espada and the Countach is pleased 
to meet people who appreciate the cars that bear his name, owners and ordinary 
enthusiasts alike. Ferruccio Lamborghini is a young man of 75, who works Monday 
to Friday, 6am to 6pm, on his vineyards near Lake Trasimeno in middle Italy. 
Besides having various minor business interests, he is still president of three 
factories which produce tractors, air-conditioning equipment and hydraulic 
systems. 
We have to travel 220 miles south from the Lamborghini car factory at Sant'Agata 
Bolognese to meet the man who shattered Ferrari's domination in the late 
Sixties. Eventually we turn off the main road and down a dusty country lane 
which leads us through the vineyards. Cantina (winery) reads a sign, and on the 
right there appears a hall housing Lamborghinis even more massive than the LM002 
off-roader: the tractors which are still built in a joint Swiss/Italian venture. 
Next door is Lamborghini's museum.  Apart from examples of 350GT, Islero, 
Espada, Jarama, Urraco, Miura and Countach, there are several Lamborghini 
tractors displayed here, starting with a rather crude-looking device from the 
late Forties. But we enter the small office opposite and ask for Il Cavaliere. 
His private secretary tells us he is out in the fields. "Just drive on; he's 
expecting you." 
Construction work is going on at the end of the dusty road, and a short, stocky 
man wearing a cowboy's hat is talking things over with the workers. “Ali, so you 
have arrived! I'm Lamborghini. We are just building a golf course over there," 
he immediately explains, pointing towards the horizon. "Golf has a big future. 
The right sport for the right people." I make the mistake of asking Il Cavaliere 
which architect he chose to design the course. "It's me!" he exclaims, jabbing a 
thumb at his chest. "I looked at more than 40 golf courses all over the world, 
from California to Japan. Now I know how to do it myself." 
We are totally captivated by this charming man. Ferruccio Lamborghini was born 
in 1916, the son of poor peasants in a poor country village. By the end of the 
Sixties, his companies employed about 4,500 people - but a few years later he 
was heavily in debt. Now, at 75, he is a man of considerable wealth again, who 
sees no reason to stop working. "When you stop working, you start to die!" 
Lamborghini still remains very much a peasant at heart, and is the kindest man 
we have ever met. After demonstrating a hydraulically powered golf caddy of his 
own design - "We start production next year" - he invites us back to his flat, 
sits us down and makes coffee. Yes, Ferruccio Lamborghini is making us coffee! 
Just imagine Enzo Ferrari making a coffee for visiting journalists in the 
kitchen of his Fiorano residence... 
So what was Lamborghini's first car? "I started motoring soon after the war, 
with a Fiat Topolino. I went through a large number of them, and soon I began to 
tune them, taking the displacement up from 500 to 750cc and fitting my own Testa 
d'Oro head to convert them from side valves to overhead valves." In 1948, 
Lamborghini and a certain Baglioni entered the first post-war Mille Miglia with 
a Fiat 750 Testa d'Oro. Their race finished prematurely in an inn near Fano, 
"which we entered by driving through the wall," according to Lamborghini. 
As his wealth increased, the young industrialist turned to Alfa Romeo and Lancia 
in the early Fifties. "I had an Alfa Romeo 1900 Sprint first and a 1900 Super 
Sprint later, both of which were quite good. But I preferred the Lancia Aurelia 
B20. It was no more powerful than the Alfa, but much more sophisticated, more 
civilised. I had a number of Aurelias, over the years - six or seven, I guess." 
This was when Lamborghini began running up to seven cars at the same time, so 
that he could choose a different one every day of the week. 
"In 1954 or '55, I got a Mercedes 300SL, the one with the gullwing doors. It was 
a remarkable car, a very progressive design for its day. No, I did not keep it. 
After two or three years I sold it to a friend. I had to try something new." 
Typical of Ferruccio Lamborghini... 
"Later on, I had two Maserati 3500GTs. Adolfo Orsi, then the owner of Maserati, 
was a man I had a lot of respect for: he had started life as a poor boy, like 
myself. But I did not like his cars much. They felt heavy and did not really go 
very fast; normally 220kph [138mph], perhaps 230 on a cool day." What about the 
eight-cylinder cars, the Quattroporte, Mexico, Ghibli? "No, I never tried any of 
those. When they became available, I already had my own GT, and with my 
12-cylinder engine I was playing in the first division - against Ferrari." 
Before turning to Ferrari, I asked Lamborghini about the other supercars of the 
day - Jaguar, for instance. "I only ever had one of those, a very early E-type 
coupe" (it seems that Lamborghini never drove roadsters or spiders). "It was a 
very attractive car and I really liked being seen in it! But on the road I found 
the rear end was rather nervous, even though on paper the rear suspension looked 
great." Ferruccio demonstrates with his hands how the rear end oversteered to 
the left, then right, left, right... "But it looked so good. When I had my first 
car built by Scaglione, I told him that I wanted an Italian version of the 
E-type." 
Why did Lamborghini choose Franco Scaglione? "Well, in the early Sixties there 
was quite a number of designers and stylists to choose from. But Scaglione 
arrived at my place in a big shiny Mercedes, immaculately dressed and 
accompanied by a breathtakingly beautiful secretary. ‘Your car will be ready in 
a week,’ he told me. So I gave him the job. In the end my car was bodied in a 
ramshackle hut that hardly measured three or four metres long." 
Did Lamborghini ever try an Aston Martin, a DB4, say, of that period? "Yes, but 
I did not like it." I look surprised. The DB Astons are considered great 
supercars of the Fifties and Sixties; even James Bond had one... "Perhaps you 
are right, but I did not like it. The one I tried felt very much like an English 
version of the Maserati 3500GT: upright and old fashioned, noisy and choppy." 
Finally we turn to Enzo Ferrari's cars. "I had three or four of them. The 
Ferrari was a very good car, I must admit, the best I had had so far apart from 
the Mercedes 300SL. After I got my first Ferrari, my other six cars - Alfa 
Romeo, Lancia, Mercedes, Maserati, Jaguar were always left in the garage.
What types of Ferrari did Lamborghini own over the years? "In 1958 I went to 
Maranello for the first time to buy a 250GT coupe, the two-seater by 
Pininfarina. After that I had one, maybe two, 250GT Berlinettas, the short 
wheelbase car from Scaglietti. I did like that one very much. It was ahead of 
its time, had a perfect balance and a strong engine. Finally I bought a 250GT 2 
+ 2, which was a four-seater by Pininfarina. That engine was very strong too and 
it went very well. 
“All my Ferraris had clutch problems. When you drove normally, everything was 
fine. But when you were going hard, the clutch would slip under acceleration; it 
just wasn't up to the job. I went to Maranello regularly to have a clutch 
rebuilt or renewed, and every time, the car was taken away for several hours and 
I was not allowed to watch them repairing it. The problem with the clutch was 
never cured, so I decided to talk to Enzo Ferrari. I had to wait for him a very 
long time. 'Ferrari, your cars are rubbish!' I complained. Il Commendatore was 
furious. "Lamborghini, you may be able to drive a tractor but you will never be 
able to handle a Ferrari Properly.' This was the point when I finally decided to 
make a perfect car. 
"To start with, I bought a bigger clutch from Borg & Beck and had it fitted in 
the tractor factory workshop. Then we discarded Ferrari's cylinder heads, which 
were rather simple affairs with just a single overhead camshaft and 12 rockers. 
I had them replaced by heads of our own design with twin cam shafts. We then put 
the engine back in the 250GT and fitted six horizontally mounted carburettors, 
just like on the 350GT two years later. It was already quite a good car.  
Several times I used to wait for test drivers from Maranello, with Prova MO 
plates on their cars, at the entrance to the motorway near Modena. After some 
time we would be doing 230, 240kph [145-150mph] and then I would start to pull 
away from them - my Ferrari was at least 25kph faster than theirs thanks to our 
four-cam conversion. 'Hey, Lamborghini, what have you done to your car?' they 
would ask me later 'Oh, I don't know" I used to answer with a grin!” 
Did Lamborghini still have any personal contact with Ferrari after the launch of 
his own GT car in late 1963? "One day in Modena I was entering a restaurant when 
I recognised Ferrari sitting at one of the tables. As I passed I tried to greet 
him, but he turned his head away and pretended to be talking to the person next 
to him. He was ignoring me!" Ferruccio grins. "I used to have contact with 
Adolfo and Omer Orsi of Maserati, Renzo Rivolta of ISO, even Alejandro de 
Tomaso. But Ferrari never spoke to me again. He was a great man, I admit, but it 
was so very easy to upset him." 
As soon as he was producing his own  GT, Lamborghini started to use one as his 
everyday hack, personally owning two Espadas and a Miura, a Jarama and an 
Urraco. "I preferred the Jarama to all the others, because it is the perfect 
compromise between the Miura and the Espada. The Miura is a sports car for the 
young at heart who want to go like hell and love to be seen. Myself, I 
considered the Miura too extrovert after a while. In turn, the Espada was my 
Rolls-Royce: still quite fast, but also large and comfortable. The Jarama is the 
perfect car if you just want to have one car." The Urraco? "I thought the Urraco 
the ideal car for women who love to go fast. And the Bravo I planned as the car 
for lovers.." Why? "Because my friend Bertone was going to tint all the glass 
completely black!" 
Ferruccio opens another bottle of his homegrown red wine, Sangue di Miura 
(Bull's Blood), lights another cigarette and listens to us patiently. Who 
decided on the character of future models in the Sixties? The sales director, 
the engineers, or Bertone, the designer? "Difficult to explain," says Ferruccio, 
trying to remember. "Personally I thought it important to launch a new car every 
year to show that we were still here and very active. Look: in 1963 we had the 
350GT. In 1965 the 350GT Spider and the Miura. chassis. In 1966 there were the 
400GT and the Miura. In 1967 the Espada. In 1968 the lslero, and in 1969 the 
Islero GTS. In 1970 the Jarama and Urraco. In 1971 the prototype Countach. In 
1972 the Jarama GTS. In 1973 the production version Countach. 

Valentino Balboni ex collaudatore Lamborghini

sabato 29 giugno 2013

Un saluto ad una grande donna

“L’etica laica e in particolare l’etica degli atei – aveva scritto – che non credono in nessuna entità superiore non meglio definita, ma solo nel dato di fatto dell’esistenza della materia che origina le strutture presenti nell’Universo, da cui si originano anche gli esseri viventi dai più semplici ai più complessi, si basa sul rispetto del prossimo, uomo o animale che sia e può essere riassunta dai comandamenti di Cristo, che certo non era figlio di dio, ma una delle più grandi figure dell’umanità, che ha preceduto i suoi tempi di molti secoli ‘Ama il prossimo tuo come te stesso’ e ‘Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te’. Per attenersi a questi comandamenti non c’è bisogno di credere in dio, non lo si fa per la speranza in un al di là in cui non si crede, ma solo per un sentimento di fratellanza universale che deriva dalla nostra comune origine da quella materia che costituisce l’Universo”

La colpa di Eva è stata quella di voler conoscere, sperimentare, indagare con le proprie forze le leggi che regolano l'universo, la terra, il proprio corpo, di rifiutare l'insegnamento calato dall'alto, in una parola Eva rappresenta la curiosità della scienza contro la passiva accettazione della fede...

Margherita Hack

http://it.wikipedia.org/wiki/Margherita_Hack
http://it.wikiquote.org/wiki/Margherita_Hack
http://www.repubblica.it/scienze/2013/06/29/foto/margherita_hack_frasi-62073596/1/#1

lunedì 22 aprile 2013

La schiena della Countach


Una delle più belle Lambo e delle più estreme supercar di tutti i tempi.



E' arrivata la primavera..

..la natura rifiorisce!


Margerite.

Ciliegio in fiore.


La mia coltivazione di menta.
 

La mia coltivazione di fragole 1/2.


La mia coltivazione di fragole 2/2.

domenica 2 dicembre 2012

Un essere sociale

"Ritengo che il mondo non possa essere cambiato né da una qualche forma di governo - dittatura o democrazia - né tanto meno attraverso una rivoluzione fondata su un'ideologia o una dottrina salvifica. Credo invece che si possa cambiare il mondo solo se giorno dopo giorno il singolo si impegna a cambiare se stesso. La rivoluzione deve avvenire dentro di noi, e solo allora potremo trasformare la società."
Reinhold Messner, 1980
"Se una persona viva la propria vita e nel farlo non arreca fastidio a nessuno, per me è un essere sociale, perchè è equilibrato e pacifico. A mio giudizio le persone diventano meno pacifiche, e di conseguenza aggressive, quando non possono vivere la loro vita, quando devono reprimere i propri sentimenti, quando vengono condizionate dall'esterno. Dobbiamo forse definire sociale la nostra civiltà occidentale, perchè costringe molti a determinate prestazioni, a un determinato comportamento, perchè obbliga i singoli entro binari stabiliti per ottenere il benessere anonimo di tutti? Per me sociale significa che per molti rimane aperta la possibilità di intraprendere la propria strada. Ognuno potrà trovare la sua come vorrà. La mia strada è, per puro caso quella dell'alpinismo. Quindi posso esprimermi come alpinista, posso soddisfare le mie ambizioni, posso andare a fondo nella mia volontà fino al suo limite estremo. Non è invece la mia strada fornire determinate prestazioni o essere inserito in un determinato processo produttivo: la mia strada è quella dell'alpinista. Questo è il mio modo di esprimermi in maniera creativa. Ho scelto di percorrere questa strada." 
 Reinhold Messner, 1980


venerdì 16 novembre 2012

il debito è di tutti, la ricchezza è di pochi


Se la ricchezza italiana fosse una montagna, sarebbe alta quanto il K2, mentre il debito pubblico, al confronto, risulterebbe come il monte Pisanino nelle Alpi Apuane: 8611 metri contro poco meno di 2000. La ricchezza di cui stiamo parlando costituisce il tesoro privato degli italiani, tra denaro contante, case, azioni e titoli, per un totale di 8.640 miliardi di euro netti, cioè oltre quattro volte il debito, con i suoi 1972 miliardi registrati ad agosto 2012.
SE L’ITALIA FOSSE UN’AZIENDA. Un’azienda con rapporti analoghi tra passivo e patrimonio non rischierebbe il fallimento, anzi, avrebbe risorse sufficienti anche per investire, crescere, arricchirsi ulteriormente. L’Italia, invece, è costantemente sull’orlo del default, costretta a tirare la cinghia, atagliare la spesa, a non avere mai un soldo. I molti e diversi motivi di questa situazione, spiegati diffusamente da economisti di ogni orientamento, ce n’è però anche uno molto semplice: il debito è di tutti, al contrario della ricchezza, che è di pochi.
Il debito pubblico è spalmato su 60 milioni di cittadini, per una quota di circa 32 mila euro ciascuno: inizia al momento della nascita e finisce solo con la morte. Per una famiglia di tre persone equivale a un fardello da quasi 100mila euro, che si trascinerà a vita perché impossibile da estinguere. Non funziona nello stesso modo per la ricchezza nazionale. La metà, e cioè oltre 4 mila miliardi di euro, appartiene a una piccola minoranza pari al 10 per cento della popolazione: sei milioni di persone che vivono nell’assoluto benessere. Al 90 per cento dei cittadini, 54 milioni di persone, resta da dividersi l’altra metà.
Sembra quasi un gioco di parole, ma spiega la ragione fondamentale per cui l’Italia è quel paradosso che è: un paese ricco, abitato da poveri. Teoricamente, infatti, siamo molto più ricchi di quanto non fossimo negli anni del boom economico; nel 1965 la ricchezza complessiva era pari all’equivalente di un miliardo e 137 milioni di euro, contro gli oltre 8mila miliardi del 2011; quella pro capite pari superava di poco i 21mila euro, contro i 142 mila dei nostri giorni. E siamo ricchi anche nel confronto internazionale: la ricchezza delle famiglie italiane nel 2010 era pari a 8,3 volte il reddito disponibile, contro il 7,5 della Francia, il 7,8 della Germania, il 7 del Giappone, il 5,5 delCanada e il 4,9 degli Usa.
DOVE SONO I SOLDI? Da una parte ci sono gli 8600 miliardi dei patrimoni privati conteggiati dallaBanca d’Italia, dall’altra i patrimoni, ancor più privati, dell’economia illegale. I grandi evasoriportano i soldi altrove. Nelle banche e nei caveau della sola Svizzera ci sono tra i 150 e i 200 miliardi di euro che battono bandiera tricolore. Ma ancora non si è trovato un modo di riportarli a casa: le lunghe discussioni sulla possibilità di accordi tra il governo italiano e quello svizzero, finalizzate a tassare quei capitali, si sono arenate di fronte alla considerazione che un accordo del genere rappresenterebbe l’ennesimo condono. L’esodo di capitali oltre confine si è intensificato, spinto soprattutto dalla possibilità, pur remotissima, che prima o poi i conti pubblici richiedano la cura urto della patrimoniale. Non si tratta dei capitali di mafia e camorra, o almeno non solo: alriciclaggio ricorrono in massa anche imprese e professionisti, e il vero sport nazionale, ormai, non è ripulire i soldi sporchi, ma nascondere quelli puliti per non pagarci le tasse.
DALLA ROULOTTE… Nell’ultimo censimento dell’Istat risulta che sono oltre 71mila gli italiani che vivono in baracche, tende, roulotte. Nel 2001 erano appena 23 mila, sono più che triplicati in un decennio. Un aumento che lo stesso Istat ha definito “vertiginoso”, ma la notizia non ha avuto dai media il rilievo che sarebbe stato necessario; eppure, settantamila persone equivalgono alla popolazione di una città nemmeno tanto piccola, come Trapani, Pavia, Cosenza.
 …AL JET PRIVATO. Con 60 mila euro si può fare il giro del mondo in jet privato. Partenza da Londra e poi a zonzo: dal Mali allo Zambia, dalle Maldive alla Cambogia, dall’India a Lisbona. Il viaggio si chiama “Impero ed esploratori”. Ma queste sono stravaganze da nuovi ricchi. Quelli veri, consolidati, viaggiano discreti e sotto traccia con i loro jet personali, che ormai in tutto il mondo sono una flotta forse perfino più numerosa di quella in dotazione alle compagnie aeree commerciali. Gioiellini volanti, di cui il più bello, dicono gli esperti, è quello che Diego Della Valle si è regalato nel 2011: un Gulfstream 55 bireattore, 13 mila chilometri di autonomia senza scalo. Gli interni sono all’altezza della reputazione: salottino privato, due divanetti con schermi tv da 24 pollici e sei posti singoli. Il tutto per poco più di 50 milioni di dollari. Quelli che non possono spendere nemmeno la benzina per la macchina, invece, restano a casa. Ed è ormai questa, da qualche tempo, la scelta obbligata per metà della popolazione italiana.
Tratto da il Fatto Quotidiano: http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/11/16/italia-terra-di-diseguaglianza-paese-ricco-abitato-da-poveri/415603/

domenica 4 novembre 2012

Offerings to the God of speed


Padova-Mannheim by Nino, 2000 Km, 4 guasti.

Ecco le offerte al Dio della velocità affinché plachi la sua ira.


domenica 21 ottobre 2012

THE BUS



This is the remarkable story of a vehicle that became an icon. 
Anyone who has ever driven a Volkswagen Bus already knows that it’s a nostalgic tale of freedom, love, friendship, breakdowns and adventures.


(Questa è la straordinaria storia di un veicolo che è diventato un'icona.
Chiunque abbia mai guidato un pulmino Volkswagen sa già che si tratta di un racconto nostalgico che parla di libertà, amore, amicizia, guasti e avventure).

ilmarietto



venerdì 5 ottobre 2012

Einstein e la crisi


“Non possiamo  pretendere che  le cose cambino,
se continuiamo a fare le stesse cose.
La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni,
perché la crisi porta progressi.
La creatività nasce dall’angoscia come il giorno nasce dalla  notte oscura.
E’ nella crisi che sorge l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie.
Chi supera la crisi  supera sé stesso
 senza essere ’superato’.
Chi attribuisce alla crisi i suoi fallimenti e difficoltà,
violenta il suo stesso talento e dà più valore ai problemi che alle soluzioni.
La vera crisi, è la crisi dell’incompetenza.

L’ inconveniente delle   persone e delle nazioni
è la pigrizia nel cercare soluzioni e vie di uscita.
Senza crisi non ci sono sfide, senza sfide la vita è una routine,
una lenta agonia.
Senza crisi non c’è merito.
E’ nella crisi che emerge il meglio di ognuno,
perché senza crisi tutti i venti sono solo lievi brezze.
Parlare di crisi significa incrementarla,
e tacere nella crisi è esaltare il  conformismo.
Invece, lavoriamo duro.
Finiamola una volta per tutte con l’unica crisi pericolosa,
che  è la tragedia di non voler lottare
 per superarla.”

Albert Einstein

mercoledì 12 settembre 2012

lamiavw: 6a/7a giornata

Lo smontaggio procede. Può sembrare banale ma vi assicuro che a smontare una VW del 1966 si rischia di fare dei bei danni se non si sa bene cosa si sta facendo..

Ore di lavoro: 10
Spese: 0 Euro
Pazienza: a volontà

ilmariettoelavw

Lista ricambi:


  1. guarn parafanghi post #2
  2. guarn ovali vetro fanali post #2
  3. guarn circ leve paraurti post #2
  4. guarn lame lame paraurti post #2
  5. guarn leva apertira portiere #2
  6. lamieretta post sx dove si attaccano staffe paraurti #1

Alcune foto dell'operazione:







mercoledì 5 settembre 2012

Foto artistica

Volkswagen Bus
Turchia, Martedì 7 agosto 2012


martedì 4 settembre 2012

L'utopia della pensione..


E pensare che in Italia siamo pieni di ladri delinquenti che ciucciano pensioni d’oro e non han mai lavorato in vita loro. Ogni riferimento alla politica è puramente casuale.

Leggete se volete stare male.