mercoledì 12 maggio 2010

Il Sistema Telecom Italia

Esternalizzazioni: Il Sistema Telecomitalia

Nessuno può pretendere ragionevolmente di entrare nel merito di come venga gestita un’impresa a meno di non esserne, in qualche modo, parte. Il nostro, mi dicono, è un paese capitalista e la produzione è essenzialmente al servizio del profitto e non funzionale alla realizzazione del piano quinquennale per la vittoria del socialismo.

Nello stesso modo è evidente che il liberismo debba in qualche modo conciliarsi con la necessità di tutelare il tessuto sociale, fosse solo per preservane la capacità di produrre reddito.

E’ per questo che il regime d’impresa ed i rapporti tra l’imprenditore e le persone che con la loro attività contribuiscono alla produzione non sono (o non dovrebbero essere) lasciati completamente deregolamentati.Questo perché la legge possa offrire un supporto alle figure tradizionalmente più deboli in fase di contrattazione: i prestatori d’opera.

Se è utile al profitto del singolo retribuire un servizio a seguito di un’asta al ribasso tra lavoratori, non è certamente funzionale all’equilibrio della comunità. Stiamo insieme per migliorare la nostra vita e questo non può avvenire attraverso una competizione basata sulla rinuncia invece che sulla qualità di ciò che si offre.

Se siete sopravvissuti a questa lunga e noiosa premessa, siete certamente idonei a rispondere ad una domanda: che pensereste di una grande azienda internazionale che fa un uso proditorio della leggi che regolano il rapporto tra impresa e lavoratori apparentemente allo scopo di aggirarle e trasferire alla collettività parte dei suoi costi?

In questo momento, non conoscendo la vostra risposta, provo a darvi la mia.

Usare la legge forzandone l’interpretazione, altre volte violandola apertamente confidando sull’incapacità di reagire da parte della controparte, non è un atteggiamento industriale funzionale ad una ottimizzazione della produzione. A mio parere, è un atto che lede gli interessi ed i diritti di tutti, non solo dei dipendenti, ma anche dei concorrenti onesti e della collettività su cui ricade l’onere di finanziare gli ammortizzatori sociali (cassa integrazione, mobilità, ecc.) impropriamente utilizzati. Questi strumenti sono stati predisposti per le aziende che, dopo aver esaurito le disponibilità proprie per gli investimenti, si trovano costrette a ricorrere all’aiuto pubblico per mantenere intatta la propria capacità produttiva.
In questo modo i cittadini, con le loro tasse, e le imprese, con i loro conferimenti, finanziano una sorta di mutualità il cui scopo è sostenere le aziende nei momenti di crisi ed aiutarle a sopravvivere fino alla ripresa. Non si tratta di carità. E’ semplice tutela del patrimonio produttivo. Se si accede a certe opzioni senza averne realmente bisogno,magari solo per guadagnare di più, si sta usando la legge impropriamente e si sta facendo danni, non industria. Un po’ come reclamare un risarcimento assicurativo dopo aver simulato un incidente.

Qualche azienda in Italia si comporta realmente così? E’ un’ipotesi che merita di essere vagliata.

Telecomitalia,solo per fare un esempio, è una società che, nonostante i dubbi sulla gestione post privatizzazione, continua a fare utili e ha una considerevole redditività. Annualmente, inoltre, provvede alla distribuzione di un dividendo azionario che, per chi non lo sapesse, è la parte residuale di utile che rimane dopo l’accantonamento e gli investimenti (tra i quali rientrano anche le spese sostenute per riqualificare la forza lavoro, le famose risorse umane).

E’ naturale che, se si distribuisce un utile agli azionisti, difficilmente si può battere cassa per accedere a provvedimenti straordinari quali la mobilità e la cassa integrazione. La collettività pretenderebbe, giustamente, che si impegnino prima le risorse economiche interne.

In realtà, utilizzando con liberalità le opportunità offerte dalla legge 30 (legge Biagi), se si prende un po’ di personale e lo si trasferisce d’imperio in una società controllata già in crisi, ecco che magicamente si acquisisce il diritto di fruire delle agevolazioni messe a disposizione dallo stato.

Se vi sembra impossibile che Telecomitalia, la società a cui prestano il volto simpaticoni come John Travolta e Christian De Sica (senza contare il prestito ben più consistente di Michelle Hunziker e Belen Rodriguez,) possa usare sistemi del genere, provate a leggere l’ottimo articolo di Luca Marcon dove con spietata lucidità si analizzano i numeri relativi alla recentissima cessione del settore informatico di Telecomitalia (2200 dipendenti) ad SSC, una S.r.L. controllata al 100% da Telecomitalia stessa e che già da tempo è in consistente passivo.

Se si fanno due conti – valutati in difetto – si scopre che il costo annuale del lavoro dei 2.200 dipendenti che sono stati acquisiti in SSC dopo il 30 aprile di quest’anno, si aggira dai 90 ai 100 milioni di euro. Vale a dire da 22,5 a 32,5 milioni di euro in più dell’intero fatturato 2009. Ciò significa che per evitare le perdite accumulate nel 2009 e pagare i 2.200 dipendenti in più, SSC dovrebbe acquisire dal proprietario nonché unico committente gruppo Telecom una commessa aggiuntiva per ulteriori 67/73,5 milioni di euro per chiudere in pareggio il 2010 e per ulteriori 100/110 milioni di euro per tutti gli anni a venire oltre a questo.
Le conclusioni, a questo punto, sono evidenti. In una società che fino ad un anno fa fatturava al suo unico cliente – che coincideva e coincide con il proprietario – prestazioni per un valore superiore del 30 per cento rispetto al riferimento di mercato, sono stati fatti confluire dal proprietario stesso 2.200 dipendenti in più attraverso una distorsione ed un abuso della normativa che regola i trasferimenti di ramo d’impresa in Italia. E questi 2.200 dipendenti in più avranno bisogno di commesse aggiuntive per almeno 100/110 milioni di euro all’anno per non restare senza lavoro. Tutto ciò in un mercato, quello dell’information tecnology, il cui stato di crisi è ormai conclamato e noto a tutti. In alternativa, SSC potrà prima infilare un paio di bilanci pesantemente in rosso di seguito, provvedendo poi ad avviare le procedure di mobilità e cassa integrazione in modo tale da scaricare quanti più dipendenti prima sulle spalle della collettività e poi definitivamente sulla strada.(1)

Va bene, anzi no, non va bene affatto, ma va considerata l’ipotesi che si tratti di un’evenienza occasionale, una specie di decisione improvvida dell’attuale management. Approfondendo la questione si scopre, però, che sono anni che Telecomitalia mette in campo operazioni del genere al punto che, già nel luglio 2008, veniva presentato pubblicamente un dossier redatto da Lidia Undiemi dell’Università di Palermo nel quale si studiavano le numerose cessioni di ramo d’azienda operate da Telecomitalia e se ne analizzavano i controversi aspetti legali. Leggendolo, si comprende che più che una singola cessione di ramo d’azienda vige una specie di sistema, ormai collaudato e funzionante da anni. Imser/Telemaco, Savarent, Tess, Pirelli Property, HP DCS, TNT Logistics, Telepost S.p.A., MP Facility, Tecnosis. Conoscete qualcuna di queste aziende? Quasi sicuramente no. La ragione è che, poco dopo la creazione, si sono rapidamente estinte o drasticamente ridimensionate.

tratto da: http://www.mentecritica.net/


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