venerdì 20 maggio 2011

Professore ci aiuti ad andare via dall’Italia

Riporto un articolo che ho apprezzato molto. ilmarietto

“Professore ci aiuti ad andare via dall’Italia”. Non passa giorno che non riceva una mail con questa richiesta, e sempre, al termine di lezioni o conferenze, ci sono dei ragazzi e delle ragazze che aspettano per avere consigli sulla possibilità di studiare all’estero, soprattutto negli Stati Uniti. A volte sono addirittura i genitori a cercare informazioni per i figli.

Non li spinge l’ambizione di aver successo o di diventare ricchi. Per chi vuole ottenere potere, fama e ricchezze con poco sforzo e pochi meriti, l’Italia è il paese ideale. Lo ha spiegato bene Travaglio in un recente articolo: quale altro paese di democrazia avanzata offre tante possibilità a editorialisti incompetenti, accademici che non hanno mai scritto opere di alto valore intellettuale, politici corrotti, imprenditori disonesti, professionisti senza etica professionale, impiegati fannulloni? E infatti nessuno di questi pregiati figuri ha mai pensato di andare all’estero. Stanno benissimo dove sono.

I giovani che vogliono andare via sanno bene che gli Stati Uniti non sono l’Eldorado, che dovranno affrontare fatiche enormi: passare dall’inglese scolastico o turistico a quello necessario per essere ammessi a un programma di dottorato e poi seguire lezioni, partecipare attivamente a seminari, scrivere saggi; abbandonare casa e amici; rinunciare alla bellezza consolatrice delle nostre città e del nostro paesaggio (quello non ancora devastato). A chi mi chiede consiglio spiego poi, affinché meditino seriamente sulla loro scelta, che una volta partiti è molto difficile rientrare nel sistema accademico italiano. Più luminosa è la carriera, minori le possibilità di tornare.

Nonostante tutto questo, molti giovani vogliono andarsene. Dalle conversazioni con loro credo di aver capito che la motivazione è molto semplice. Vogliono andarsene per avere la possibilità di dimostrare che anche loro valgono e possono realizzare nella vita qualcosa di bello e di importante per se stessi e per gli altri. Il loro è un atto di ribellione e un atto di accusa durissimo verso chi ha ridotto l’Italia nello stato in cui si trova: “Ci volete banali, ignoranti, aggressivi, servi, copie malriuscite dei personaggi che dominano le vostre ripugnanti televisioni? E invece noi vogliamo vivere una vita che abbia dignità, valore e libertà, e poiché qui non è possibile, andiamo via”. Non è una fuga dalla responsabilità, ma una voglia di responsabilità, della responsabilità più importante, quella di costruire la vita con le proprie forze, grandi o piccole che siano.

Hanno ragione a volersene andare. Devono essere consapevoli che incontreranno difficoltà serie. Dovranno affrontare selezioni severe e distinguersi in contesti molto competitivi, anche se di competizione leale e aperta. Dovranno liberarsi della timidezza inculcata dai cattivi professori (“prima di poter parlare devi leggere tutta l’opera del tale o tal’altro autore e poi tutta la letteratura critica”), del timore di esprimere le proprie idee senza per questo diventare degli sputasentenze; del cattivo costume (anche questo inculcato dai cattivi maestri) di considerare la critica come un insulto personale.

Ma se si sentono abbastanza forti per affrontare anche l’amarezza di possibili sconfitte, fanno bene ad andare. Comunque vada si renderanno conto che sono possibili anche altri modi di organizzare la vita civile, e soprattutto che diversi e migliori possono essere i rapporti personali.

Sia chiaro: vedranno che anche negli altri paesi ci sono pregiudizi, boria nazionale, angustie mentali, privilegi, meschinità accademiche, chiusure ideologiche. Ma almeno troveranno chi li ascolterà e valuterà le loro idee senza chiedere loro da dove vengono o guardare il loro vestito. E se lo meriteranno, e avranno un po’ di fortuna, costruiranno carriere importanti. Senza dover nulla a nessuno. Vi par poco? Portino pure con sé lo sdegno e anche il rancore che nasce dal vedere figuri miserabili ricoperti ovunque di denaro e di gloria (quella da stronzi, ovviamente, come diceva l’impareggiabile Guccini); li aiuteranno a superare gli ostacoli. Lascino a casa le speranze troppo rosee; si trasformano facilmente in delusioni.

Consiglio soltanto di non trasformare la distanza nello spazio in un distacco morale. Si sforzino di rimanere legati moralmente e intellettualmente alla vecchia patria italiana e di dare un aiuto di idee e di stimoli a chi resta perché non se la sente o non può partire. E se ne avranno l’occasione, tornino per condividere la ricchezza interiore accumulata all’estero. Un piccolo contributo alla libertà e alla dignità civile della propria patria dà una intensa serenità interiore. Nel bene e nel male, la nostra storia e la nostra cultura ci coinvolgono più intensamente della storia e della cultura degli altri paesi. Gli antifascisti degli anni ’30 si chiedevano se meritasse maggior lode l’Ulisse di Omero che torna ad Itaca più vecchio, ma anche più saggio, o quello di Dante che si perde nell’infinito Oceano. I più stavano dalla parte del primo. Avevano ragione.

Il Fatto Quotidiano, 19 maggio 2011

1 commento:

Mao ha detto...

Un mio amico sta partendo per Chicago: studia Fisica, ed ha vinto una borsa di studio che gli paga la "modica somma" di 3000 euro al mese per contribuire ad una ricerca particolare. Fantascienza in Italia: qui un laureato in fisica al massimo può finire a fare l'impiegato in qualche mediocre ufficio pieno di scartoffie da archiviare.